Non chiamatele “morti bianche”: la piaga delle morti sul lavoro
Secondo i dati riportati dall’INAIL, nei primi sette mesi del 2023 (gennaio-luglio) si sono registrati in Italia 559 casi di morte sul lavoro (+4,4% rispetto a luglio dello scorso anno), dei quali 129 in itinere.
Secondo alcune proiezioni, in attesa di una ufficiale certificazione del dato, al mese di settembre sarebbero già 1134 i morti complessivi, confermando un trend che vede per il nostro Paese circa mille persone morte sul lavoro ogni anno.
Quella delle “morti bianche” – infelice espressione utilizzata per riferirsi a quei decessi dovuti ad incidenti avvenuti durante e per causa del lavoro svolto – è una piaga che, nonostante il corposo apparato normativo a tutela della Sicurezza sul lavoro e della sempre maggiore sensibilità da parte delle aziende e dei lavoratori – continua a diffondersi presso il nostro tessuto economico e sociale.
Le principali cause dei decessi e degli infortuni sono rappresentate in primis dalle inadeguatezze strutturali degli edifici in cui i lavoratori si trovano ad operare, nonché dall’insufficienza, se non in alcuni casi assenza, delle misure di prevenzione.
Ancora troppo spesso si registra nella nostra realtà industriale la presenza di aziende per le quali la sicurezza non è una priorità imprescindibile e inderogabile, in nome della quale procedere a seri e strutturati investimenti nell’adeguamento delle strutture e dei processi, nonché nella formazione dei lavoratori stessi.
Non dimentichiamo che è proprio il D.Lgs n.81/2008, il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, a sancire l’obbligo formativo, che si traduce per i lavoratori nella partecipazione a programmi di formazione e di addestramento organizzati e messi a disposizione dal datore.
Per ridurre fino al punto da contrastare il fenomeno delle morti sul lavoro, occorre rendere i luoghi e i processi di lavoro, a prescindere dal settore di appartenenza, contesti nei quali esprimere la creatività e il contributo di ciascuno, pretendendo da quest’ultimi la stessa “vivibilità” che legittimamente ci augureremmo per le nostre case e le nostre famiglie.
Fare insomma dell’impresa uno strumento di innovazione e di benessere, e non una gabbia nelle quale l’unico orizzonte sembra essere quello del profitto.
Ciro Alessio Formisano, Responsabile hr Kuvera Spa