Antidepressivi e giovani
Secondo gli ultimi dati condivisi dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), dal 2000 al 2020 l’uso di antidepressivi è più che raddoppiato in almeno 18 Paesi europei. Se a inizio secolo si consumavano in media 30,5 pasticche al giorno ogni mille persone, oggi se ne consumano in media 75,3, con un incremento del 147%.
Sempre per l’OCSE, in Italia, nel 2021, più del 24% dei giovani nella fascia d’età tra i 16 e i 24 anni ha riportato sintomi depressivi, mentre la percentuale tra gli adulti si ferma al 14,4%.
Come per ogni patologia che colpisce la psiche, è difficile stabilire un confine netto tra la depressione frutto di una disfunzione sul piano organico e una depressione frutto di un cattivo adattamento tra l’Io e la propria interiorità, e con la società nel suo complesso. Pertanto, la risposta farmacologica, se in alcuni casi è la più adatta, in altri è semplicemente la più comoda, soprattutto per chi, dati gli impegni e le possibilità finanziarie, non può accedere ad un continuato percorso terapeutico.
Gli psicoterapeuti riportano che il principale malessere presentato dai pazienti che, in varia misura, sono afflitti da sintomi depressivi consiste nella “mancanza di senso”, tanto nella vita privata quanto nel lavoro. Questo appello al senso, nella sua duplice accezione di significato e di direzione , non può non stimolare un autentico discorso in seno alla comunità HR.
Secondo un sondaggio di McKinsey&Company del 2020, l’82% dei dipendenti ritiene importante che l’azienda per cui lavora contribuisca, con le sue attività, al miglioramento della società. Quest’ultimo dato ci conferma che la domanda di senso presentata dai lavoratori, non solo da coloro che vivono in una condizione di disagio, si estenda ben al di là del proprio vissuto, investendo la società nel suo complesso.
Il lavoro può essere vissuto come quell’attività che, più di altre, consente a ciascuno non solo di esprimersi ma anche di fare di tale espressione un’occasione per il progresso “materiale o spirituale della società” (art. IV Costituzione Italiana).
Tali considerazioni entrano in risonanza con quanto argomentato da Simon Sinek nel suo saggio ‘Partire dal Perché’ (Edizione FrancoAngeli). Secondo l’autore, quel che motiva più gli esseri umani non è tanto il “cosa”, quanto il “perché”. È pertanto il senso del proprio agire ad imprimere la qualità delle proprie azioni: se manca il “perché”, il coinvolgimento delle persone è lasciato al conformismo e all’abitudine, fattori che alla lunga non consentono una partecipazione autentica.
Si sta forse maturando la convinzione che, in un mondo sempre più competitivo che vede guerre da una parte e crisi dall’altra, non sono più perseguibili soluzioni individuali a problemi collettivi. La comunità HR, nel suo rapportarsi alla moltitudine dei lavoratori, non può esimersi dal dare il proprio contributo.
Di Ciro Alessio Formisano
Ciro Alessio Formisano, Amministrazione del Personale Kuvera spa (Carpisa)