Oltre lo Statuto dei lavoratori: il passaggio all’organizzazione del lavoro basata sulla soggettività

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Oltre lo Statuto dei lavoratori: il passaggio all’organizzazione del lavoro basata sulla soggettività

Lo Statuto dei lavoratori ha fatto il suo tempo. Non perché le istanze che affronta siano risolte, ma perché il contesto socio economico è talmente cambiato da porre con forza la esigenza di una nuova visione del lavoro, di nuove regole e diritti. Problemi e termini come sfruttamento, alienazione, emancipazione, opportunità, non sono scomparsi, ma hanno cambiato natura e gli strumenti con i quali, nello Statuto, venivano affrontati appaiono oggi fuori contesto e, perciò, inadeguati. La globalizzazione, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione hanno trasformato i processi produttivi e con essi il lavoro, così in profondità, nella organizzazione, nella realizzazione e nella percezione, che possiamo davvero parlare di un mutamento antropologico.

Alessandra Belluccio ha ben descritto, nel suo recente articolo, per la rivista di AIDP, questo passaggio epocale. Ma il centro della sua riflessione si sposta dai fenomeni oggettivi della produzione al soggetto che li vive e li interpreta: la persona nella sua complessità e soggettività. Oltre, cioè, la dimensione stessa di… lavoratore. E’ un punto cruciale questo, in quanto afferma una visione integrale della persona che non si sdoppia, non si frantuma nelle diverse fasi della sua esistenza e della sua giornata. Egli è sempre madre o padre o figlio, anche quando lavora; è sempre cittadino… Ciò comporta una idea del lavoro e delle relazioni molto impegnativa, perché il riconoscimento della soggettività implica una disponibilità ad una organizzazione del lavoro ben diversa da quella tradizionale. Si pensi alla gestione flessibile degli orari di lavoro o allo Smart working; ai permessi genitoriali o alla 194.o, ancora, al welfare aziendale. Ormai è assodato che una organizzazione delle relazioni che valorizza la dimensione soggettiva, se ben regolata, migliora le prestazioni e la condivisione.

Il passaggio, dunque, dallo Statuto dei lavoratori, allo Statuto della persona appare il naturale sbocco regolatorio (legislativo e negoziale) di questo processo.

C’è alle spalle di questa concezione un momento  intermedio, sul quale si è molto dibattuto, ovvero il passaggio dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori. Si è trattato di una presa d’atto dei cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro che hanno differenziato il contenuto della prestazione e, conseguentemente, le tipologie contrattuali.

Eppure, dal pacchetto Treu in avanti si è alimentato un equivoco di fondo, secondo il quale la precarietà, ampiamente diffusasi, sia dipesa dalle scelte normative attuate. Quando si tratta del contrario: gli interventi legislativi, fino al job Act compreso, hanno inseguito la tumultuosità crescente del mercato del lavoro, cercando di porvi argine e regole. Si può discutere sulla bontà o meno dei singoli provvedimenti, sulla loro efficacia, ma non operare un rovesciamento ideologico. D’Antona e Biagi hanno pagato con la vita questo tragico errore culturale. 

In ogni caso lo Statuto dei lavori, pur rappresentando un  notevole passo in avanti, era ancora parte di una visione che misurava le problematiche lavorative dal lato della struttura produttiva o, nel migliore dei casi, da quello dei produttori. Se, invece, si approccia il cambiamento dal lato della persona, della sua soggettività si cambiano i parametri. Si compie il vero salto di qualità.

Questa concezione della organizzazione del lavoro e delle relazioni appare, peraltro, più in sintonia non solo con le più avanzate teorie del coinvolgimento e valorizzazione delle risorse umane, ma con una visione dello stesso sviluppo del pensiero filosofico ed economico. Un solo esempio: la crescente sensibilità ambientale e la proposizione di una ecologia integrale, possibile solo si ripensa alla stessa idea di persona, in armonia e non in conflitto con l’habitat.

In tale prospettiva, tornando alla dimensione lavorativa ed aziendale, bisogna far evolvere la responsabilità sociale dell’impresa verso una organica partecipazione dei collaboratori alle sorti dell’impresa. 

Il tema della centralità della persona, anche ben oltre i processi produttivi e il lavoro è da sempre la questione principale attorno alla quale costruire le fondamenta e l’architettura della società.

Questo aspetto mi fa ritornare alla mente il dibattito nella Assemblea Costituente tra Dossetti e Togliatti sull’articolo 1 della Costituzione. Quando Dossetti, per rompere l’empasse che si era creata, propose a Togliatti di iniziare la Costituzione con un riferimento al diritto al lavoro, spiegando che lo proponeva perché sapeva che sul tema del lavoro Togliatti non avrebbe potuto dire di no; ma, soprattutto, perché attraverso il diritto al lavoro si afferma la dignità di persona.

Il fine, per Dossetti, dunque, era la persona, il lavoro rappresentava  la via… in tal modo, attraverso un concetto caro ai comunisti: il lavoro, introduceva, nella “Carta”, la idea personalistica della società, cara ai cattolici.

Oggi la questione è più complessa e la dignità di persona si acquisisce, come abbiamo detto, anche attraverso altre vie che non sono solo il lavoro: welfare, diritti civili, cittadinanza attiva… Ma il fine, il senso, resta sempre la “persona”.

  di Pier Paolo Baretta  

Pier Paolo Baretta, Assessore al Bilancio Comune di Napoli

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