Valutazione e potere
di Antonio Tarotto
Valutare è insito nella natura umana: lo abbiamo fatto e lo facciamo per le motivazioni più disparate. Le occasioni sono talmente tante e talmente frammentate, a volte, che non si può distinguere veramente un momento unico di valutazione. La nostra stessa vita è una continua scelta che implica, necessariamente, una valutazione.
Fatta questa semplice premessa, se consideriamo il momento professionale ‘valutazione’ nello specifico ambito delle Risorse Umane, si apre un universo fatto da professionisti e contesti che definire sterminato è praticamente eufemistico.
Focalizzando il raggio di analisi all’ambito dello Sviluppo delle Risorse Umane, la valutazione è una competenza tecnica che, probabilmente, può considerarsi la più difficile da applicare e, in particolare, non sempre accessibile in ambito di apprendimento. La si può considerare una competenza tecnica elitaria.
Chi sa agire correttamente questa competenza si trova, sempre, ad affrontare quattro step strettamente concatenati fra loro che, anche se in ordine diverso, si susseguono inesorabilmente:
- La conoscenza di sé: fondamentale e inevitabile. Se non ci si conosce abbastanza si è destinati a fallire in ogni caso, indipendentemente dagli step successivi. Chi non si conosce, può fingere senza remora; chi si conosce, può godere della guida di una propria coscienza matura e onesta.
- La pulizia dello stereotipo e del pregiudizio: prima di affrontare qualsiasi momento di valutazione, è fondamentale guardarsi in faccia e dirsi ‘cosa penso per davvero di questo momento/progetto/persona?’. Riconoscere le proprie tendenze di giudizio, i propri stereotipi, i propri fastidi ‘a pelle’ è di fondamentale importanza. Un pregiudizio non svelato passa sempre per una valutazione data (si crede) in maniera trasparente e ineccepibile. E non è così. Svelare un proprio stereotipo o un proprio pregiudizio consente di riconoscerlo, accettarlo e metterlo da parte per evitare che possa interferire nella valutazione. Se si ha un pregiudizio sui napoletani perché è stato sempre insegnato e si è accettata l’idea che siano tutti ladri, c’è il rischio, se non lo si ammette a sé stessi, di sbagliare clamorosamente una performance review o il debriefing di un colloquio.
- La gestione dell’etica: il proprio sistema di valori deve essere sempre considerato in termini assoluti e non deve mai intaccare i propri valori fondanti. In caso contrario, il rischio è che una valutazione fatta in assenza dei propri valori fondanti sia una valutazione acritica, senza reale valore perché data e nata senza alcuna connotazione di coscienza.
- Gli obiettivi professionali: va da sé che ogni valutazione deve essere sempre giustificata da una esigenza professionale. Se non c’è un bisogno organizzativo specifico od orientato alla risoluzione di un problema o al miglioramento di uno standard, la valutazione perde di significato.
Alla luce di quanto detto sopra, viene quindi naturale pensare che il potere legato alla valutazione (essa può incidere pesantemente sulla vita di professionisti e quindi di persone) sia particolarmente elevato e che giustifichi pienamente le grandi difficoltà legate ad esso e a tale competenza.
È condiviso, comunque, che tale consapevolezza sia davvero poco diffusa, tanto che ad oggi addirittura professionisti non legati all’ambito HR e che magari di professionale hanno davvero poco, si dilettano in valutazioni dei generi più vari passando dalla selezione, alle performance fino ad arrivare a compensation e benefit e percorsi di carriera. Ciò, ovviamente, con grandi danni alle persone, alle aziende e alle economie.
di Antonio Tarotto – HR Development and Recruitment Manager